sabato 29 dicembre 2007

PORTAPORTESE techno trance

Questa è la mia personale interpretazione del mercato di Portaportese, uno storico mercato che nonostante gli anni mantiene vivo il ricordo della vecchia Roma.Purtroppo la conversione in mpeg4 per il web lascia sempre perplessi. Vabè.
Buona visione.

Mille modi per dirsi addio

Potrei scendere, fare due passi, trovare un pezzo di cocaina buona per ammazzarmi. O magari, se non fa tanto freddo, potrei arrivare alla stazione, dieci minuti a piedi. Con un bel pezzo di eroina di strada ce la faccio quasi di sicuro a fottermi…quasi…mmh, la fretta è cattiva alleata. Se aspettassi solo fino a capodanno potrei andare alla Festa. Ingoio dieci bombe, acchitto mari di keta e poi torno a casa in macchina alle dieci di mattina. Che schianto perfetto. E se poi le reggo e non funziona? E’ divertente da morire, o no? Morire poi, che parolone. Io sarei disposto anche ad una tregua. Una tregua armata, s’intende. Perciò prendo il coltello e mi siedo in cucina di fronte al frigorifero. L’idea è quella di tagliarmi in pezzi precedentemente studiati, così che possano entrare comodamente nella ghiacciaia e passare alla fase due del piano…l’ibernazione. Mi mancano ancora alcuni dettagli però e non vorrei forzare i tempi della scienza. Devo valutare bene. Poso il coltello e vado in bagno. Carino, proprio un bel bianco. Sanitari, ceramiche ai muri, perfino il pavimento è bianco. Qual candore...omnium oculos in se converto! Non posso fare a meno di sognare d'aver con me un ordigno a basso potenziale esplosivo. Ho un istinto astrattista innato. Disfarmi per farmi opera…oh poesia. Devo rimediare la bomba! Assolutamente! Dopotutto è quasi capodanno. Giù c’è un po’ di tutto. Ci sono spacciatori di alcol, fumo, erba, cocco, robba, paste, keta, trip, oppio, funghi, botti, motorini, macchine agricole, cavalli da corsa, divise d’ordinanza, mappe segrete, documenti veri e verosimili, alibi, raccomandazioni, organi, e poi ci sono i miei preferiti, gli spacciatori di spacciatori. Non spacciano niente ma se vai da loro ti spacciano ogni singolo spacciatore del quartiere. Chiaro no? I miei preferiti. Deciso mi infilo le scarpe nere, quelle scomode, così che tenga sempre bene a mente il mio obiettivo. Scendo. Risalgo pensando a quante brutte storie si raccontano su certi posti. Questi posti. Box degli attrezzi, vano grande. Mazzetta da cinque chili e gancio uncinato. Dopotutto mi dispiacerebbe se fosse qualcun altro a decidere l’ involuzione delle mie cose. Scendo di nuovo ma con più baldanza. Mi ricordo qualcuno in un film, ma chi? Assesto un colpo. Cinque chili di metallo precipitano sulla mia cassetta delle lettere che esplode come un uovo…o come…un arancio…ecco chi! Jack Nicholson! “Weeeendy...Ti faccio esplodere quella testolina come un arancia…”. Ho ripudio di me che sono pigro e m’affido ai botti di capodanno. Con un po’ di volontà potrei riuscire a costruire un marchingegno. Un arnese con una molla abbastanza potente da far scattare il martello sulla mia testa come ho fatto ora io con la cassetta. Però in bagno. Ci penso un po’ e risalgo dubbioso. Ci sono così tanti modi per dirsi addio che non si riesce mai di lasciarci davvero.

giovedì 27 dicembre 2007

Fame

Il mio dietologo è un’ uomo di grande cultura e pazienza. Non sto qui a raccontare quante volte si è costretto a ripetermi le norme base di una corretta alimentazione. Infinite volte mi ha ricordato come non esistesse un'unica panacea che potesse garantirmi l’adeguato apporto di elementi vitali in ogni momento della vita. Così, come un nonno indulgente col piccolo e curioso nipote, ricominciava ogni volta da capo:
“Quello che fa di noi esseri sani non è la carne, ne le verdure, o la frutta. Nessuna proteina, animale o vegetale, nessuna fibra. Non un olio essenziale, sale o spezia che sia, può garantirci l’equilibrio duraturo a cui tutti noi aspiriamo. Avere del sale in zucca senza il giusto apporto di zuccheri nel cuore ci espone a gravi rischi. Le carenze, di qualsiasi genere siano, non sono mai salutari in un sistema cellulare complesso come il nostro. Come ripeto spesso, la potenza è nulla senza controllo. E, come dico ancora più spesso, questo nostro paese si sta rincoglionendo correndo dietro alla dieta dissociata. Dissociazione! Ci può essere una pratica meno salutare? Ascoltami, mio caro affamato paziente, ogni corpo è un meccanismo unico e soltanto tu puoi decifrarne gli schemi. Mio è il compito di consigliarti. Soltanto questo, dopotutto sono solo un dietologo. Vivi intensamente ogni ora, corri, balla, fai l’amore e lotta anche, quando serve. Ridi, pensa, canta e mangia. Mangia finchè puoi ciò che preferisci e brucia. Brucia fiero come una torcia nella notte.”

Close up

Sono attratto dalle immagini come la falena lo è dalla luce. Forme, colori, significati, nulla. Affonderei nel labirinto di linee dinamiche della realtà perdendomi e ritrovandomi. Perdendomi e ritrovandomi. Guardare e lasciarsi guardare. Pensare. Osare figure paradossali nel mio spazio. Il mondo, come un nastro, mostra e ripete all’ infinito la Vita. Vita! C’è un’ unico simbolo che possa rappresentala? Una sequenza dal significato univoco? Un punto fermo della percezione? Il ribollire di innumerevoli esistenze s’avvicina, con le sue interdipendenze, le sfumature, a ciò che cerco. Non posso farne a meno, attratto mortalmente dall’ inutile.

lunedì 24 dicembre 2007

NATAleTALE

-Buon Natale signore, qualche spicciolo…- -Signorina, buon Natale, qualche….- . Niente. -Buon Natale, qualche spicciol….-. Non mi sentono, neanche guardano. Dimenticato. Lungo la ricca via delle spese natalizie, cerco un poco di soldi per riuscire a dormire stanotte poichè la prima coperta calda è uno stomaco quieto. Hanno gettato tutto all’aria senza che nessuno davvero si ribellasse. Dato alle fiamme quello che c’era di buono di questi giorni. Così, seduto a terra, su un cartone abbastanza spesso da isolarmi dal marciapiede freddo e sporco, accetto tutto ciò che il mondo mi concede. -Buon natale signora…- Oggi ho cominciato più tardi del solito. Questa notte il freddo e il bisogno di cibo caldo non mi hanno dato tregua e verso le quattro, per disperazione, ho cominciato a camminare per le vie deserte del centro masticando un pezzetto di legno per placare la fame. Saranno state le sei, ho trovato una grata sul retro di un palazzo signorile dalla quale fuoriusciva aria inquinata e calda, allora mi sono accomodato sul letto di cartone che porto sempre con me e mi sono lasciato scivolare nel sonno. Poche ore però, poi il frastuono cittadino m’ha richiamato a se e di nuovo ero a vagare fra uomini e donne indaffarati. -Signore, qualche spicciolo…-. Non è un buon periodo questo per vivere. Proprio inadatto a…- Signori, prego, uno sp..-. Non era così prima, e lo posso dire con certezza visto che sono molti anni che mi affido al buon cuore dei passanti per continuare ad esistere. –Signora, qualche…- Ero qualcuno una volta anche se stento a ricordare bene chi fossi. Sono stato bambino, questo e certo e giocavo con gli amici nei prati dietro casa, dove ora c’è un nuovo svincolo dell’autostrada. –Uno spicciolo signore….Grazie tante e buon…- Già è lontano, le gambe del benefattore si fondono velocemente con quelle degli altri. Nell’ intrico dei passi altrui cerco di cogliere le storie silenziose che si trascinano dietro. Scarpe scintillanti di donne felici a passeggio, frenetico picchiettare di tacchi, voci confuse senza volto, tasche, borse, mani ondulanti, oro, argento, acciaio. Dopo ore di immobilità supplichevole la voce cantilena autonoma e lo sguardo affonda oltre lo scorrere di stoffa e persone – Signora, uno spicciolo per Na…-, vanno oltre fingendo di guardare il telefono, o il cielo che si scurisce velocemente o semplicemente mi ignorano imbarazzati. Le persone a natale sono peggiori. S’accendono sentimenti sintetici, misere semplificazioni di schemi complessi che come ogni pratica necessiterebbero di costante applicazione e sacrificio. Invece tutti improvvisano malamente. La paura di tanta luce fa fuggire le persone fra luminarie e vetrine, messaggi d’auguri generici, sorrisi stilizzati e traffico. A volerci credere tutto così sembra più brillante, speciale. Ma non per me che mi siedo a terra e annuso la parte bassa delle persone. Non per me che conto i soldi nel cappello e so fare calcoli. A natale sono più povero. Ogni singolo e freddo natale ho sperimentato dentro lo stomaco e nel cuore la realtà nuda e cruda.-Signorine, uno spicciolo per…- Chiuse nelle proprie gioie giovani, ridono, si spingono. Scompaiono nella folla. Buon Natale mondo.

giovedì 13 dicembre 2007

Friends of mine

Ci ho messo un pò a scriverne. Per imbarazzo ma più che altro per non cadere in superflue frasi di circostanza che tanto mi dispiacciono. Basta poco che ce vò diceva qualcuno. Il 5 mi avete fatto veramente molto felice, ne avevo bisogno e credo lo sapeste bene. Perciò, il modo migliore per ringraziare i dodici santi magi è quello di mostrare il primo lavoretto autoprodotto con la telecamera - che ho chiamato Piccola - che mi avete donato. Anche se, con mia grande gioia, la prima cassetta inserita è stata per lavorare e credo porti bene. Spero a tutti. Vi voglio bene.
Riguardo "Night shot" potrei dire che è un simpatico micromovie. Sia la compressione per il web che gli effetti spinti nel colore e nelle prospettive non rendono giustizia alla qualità della telecamera ma ne esaltano le qualità che cercavo: Dimensioni, maneggevolezza, essenzialità.
Musiche:
Llorca- Indigo blues; Crash test dummies - mmm mmm mmm mmm: Aphex twin - Afx237 V7
Durata 5 min e 10.
Buona visione (se non si dovesse vedere cliccate sullo schermo e vi linka nel tubo)

martedì 11 dicembre 2007

Io, la Mosca e Bunuel

Ma ti sembra questa l’ora di pensare? Mi chiedono le confuse solite vocette impertinenti. Pare che ultimamente anche chi non ha nulla da dire non resista e sputi micro immondizie letterarie. Bè, io non sono da meno. Se le dinamiche sono quelle che mi sembra di aver capito, ogni sacco di spocchia può, dall’alto dei suoi attestati ufficiali e dei suoi grandi occhi infelici, tessere le lodi all’inverso della propria vita. Certo che all'alba avrei voluto leggere di meglio ma sono io che ho costruito castelli sulla sabbia.Alle sette meno un quarto di mattina, dopo una notte a montare matrimoni napoletani dal format tutto da vedere, penso che “non solo moda“ me lo può anche baciare, il culo. Ma crolla anche inesorabilmente un altro torrione del sogno che mi ero cucito in testa. Ho gli occhi scardinati e le mie toste chiappe cominciano anche loro un antagonismo militante. Comunque, come dicevo, m’è venuta in mente ed ennesimamente ho letto, ho pensato e non mi è affatto piaciuto. Quello che ho letto, quello che ho pensato? Entrambi. Oggi, fra un po’, si ritorna al lavoro. Eppure mi fa godere sotto sotto di distruggermi la vita per niente. Perché credo davvero che tutto sto sbattimento non serva. Però bisogna pur fare qualcosa. Che poi un giorno si arriva e non si ricorda più la partenza. Circa dieci ore fa ho finito di rivedere il pianista sull’oceano, ieri (anzi ormai l’altro ieri) vari pezzi di “the holy montain” di jodorowsky e, tanto per gradire, ho proposto ad una cara neofita, la visione integrale di “Un chien andalou” del vecchio Bunuel.
Mi ha angosciato il caro Luis, in alcuni momenti avrei voluto distogliere lo sguardo, ma almeno questo nella vita non l’ho mai fatto. Era molto che non ci si vedeva. Mi ha di nuovo, o ulteriormente, tagliato l’occhio. M’ha strizzato l’anima. Ho un dubbio: stavolta il cinema non c’entra perché avevo dieciasette anni e credevo di studiare cinema mentre ero solo un innocente confuso povero coglione. In ogni caso, più o meno validi “maestri” tentavano di fare di quel film e di molti altri il nostro pane quotidiano. Poi i diciotto anni e la festa che tutti aspettano e credo pure io e diciannove, venti e rotolarono i rotoli e vaghi dintorni, viaggi, ritorni, dimenticanze in evoluzione, apparizioni, sparizioni di perle mare fango e BUM! Per dirla semplice THAT LINK IS FUCKED. S’è crinata irrimediabilmente la surreale e artificiosa zona d’ombra dove nascondersi quando gli interrogatori si fanno fitti e puntano ferocemente la luce in faccia. Nudo al centro di una stanza affollata rimbalzo da un immagine all'altra come una mosca scappando dalla mano. Che cosa ne può sapere un insetto che sfugge ad una morte così semplice del mondo fuori dalla porta, delle città, degli stati e di tutto l’inutile resto. Niente e comunque non credo gli interesserebbe farsi un cortocircuito. Eppure sia io che la fastidiosa mosca mia amica, il buon Bunuel e svariati altri siamo qui oltre l’uscio e non ci capiamo un benemerito cazzo. Chi per un motivo chi per un altro ognuno di noi resta atterrito se pensa a tutto quello che non capisce. Mica siamo come gli altri che sparano sentenze e merda dalla bocca per non aver paura. No no, noi accettiamo la nostra ridicola limitatezza, ne io ne gli altri ci sentiamo minimamente intelligenti e ne diamo prova spesso e volentieri. Se fossi stato davvero intelligente mi sarei forse ritrovato alle sette di mattina, dopo la suddetta video immondizia a pagamento, a scrivere con dedica questo biasimevole intruglio di me? Non credo. Come non credo che chi si trova in una posizione scomoda abbia il diritto di essere nervoso o critico. Perché a meno che non siate poveri davvero, malati davvero, emarginati davvero, davvero fottuti finiti invischiati deprivati dell’energia stessa che vi tiene in piedi, non avete da far altro che muovere il culo e ringraziare Dio che non vengo li a prendervi a calci in bocca personalmente, che così almeno ce l’avrete davvero un buon motivo per piangere. Per il rispetto dovuto ai cuori che si stringono fino a frantumarsi. Agli stomaci vuoti saziati nell’immondizia della nostra opulenza, ai bambini dimenticati e a tutta la natura che cede il passo con dolore. Devo scavare, scavare a fondo fino al filo rosso. Dimenticarmi di me e sperare un giorno, dopo tanti anni, di incontrarmi ancora.

mercoledì 5 dicembre 2007

Piedistorti
camminandovunque
lascianostreminiscenze
Passilenti
atraversolitudini
Alberigogliosinistri
Forzature

lunedì 3 dicembre 2007

chittarra arpa


Andy Mckee
I will see you again

giovedì 29 novembre 2007

Buona la prima


Con la Muskia stavamo pensando seriamente di mettere su un corto come si deve. Che tanto, a vedere quello che altri presentano ci sentiamo in grado di farlo. Dall primo briefing abbiamo all’unanimità deciso di abbandonare i precedenti percorsi. Lo pseudo noir franco-russo. I tempi immobili e le frasi sibilline che chiedono di essere più che partecipe alla proiezione, di esserlo al contesto dell’arte contemporanea, a quello storico-contemporaneo ma soprattutto a quello mentale dell autore di turno, che non si prodiga affatto in slanci umili e compassionevoli verso il volgo. No no. Prima di tutto si vuole definire a chi si vuole dire cosa. A loro? A tutti? A tutti tutti? Cioè quali sono i confini che volendo e non volendo delineeremo del nostro prodotto? Prima ancora di sapere di cosa parlo ora voglio sapere con chi ne voglio parlare. La mia personale opinione è che cercare di dilatare il più possibile la superficie visibile, senza per questo rinunciare alla complessità del discorso, sia la migliore radice da cui partire. Si traduce chiaramente in un assai maggior carico di lavoro mentale per gli autori che, se capaci, dovranno parlare in testa con mille voci differenti ed estranee, a quelle dar più retta per accontentarle. Piegarsi umilmente, tutto il possibile, che non è oltre il possibile ma li vicino.
Cosa accomuna la gente più distante che si possa immaginare. Cosa sta a loro comunemente a cuore? Facili, queste risposte sono facili. La natura, la carne, il tempo, la fine. Questa la mia chiave. La lente polarizzata che voglio fondere ai miei occhi. Perché è questo in fondo che ci sospinge e ci fa fare tutte le cose che si raccontano in giro o sui libri o nei nostri più intimi sogni. Una bella quadrilogia senza pretesa alcuna. Già sento le scintilline in testa. Il solletico alle viscere. La gustosa insofferenza, la fretta, che mi godo immobile, pensando. Mi piace l’approccio del mio corpo a certe cose. Lo vivo sempre come una garanzia, perché non succede spesso e mai con la stessa intensità.
Quattro storie, sedici minuti in tutto. Detto i limiti. Non abbiamo troppi bravi attori (3), non abbiamo impianti microfonici degni di nota e io pretendo di poter lavorare con piani larghissimi. Quindi muto. Anche perchè voglio sia internazionale. Parco lampade base, Con ampia possibilità di espansione però. Gruppo elettrogeno da circa 2kv su richiesta. Attori già disponibili (me compreso) 6. Comparse: i sei, di spalle e camuffati, più almeno altri 5. Ma già così il piano di lavorazione è assai complesso. Perchè non girano soldi..Altro limite, semplice cavalletto senza testata fluida. Perciò movimenti pochi e giustificati.

Primo raudo:

“ Il concetto di natura ha subito numerose evoluzioni, nella sua definizione, a seconda dei sistemi culturali e filosofici entro cui l'uomo ha definito, nel corso della storia, la sua esistenza e la sua relazione col mondo e col tempo.”

“L’espressione “ogni carne” si applica all’essere umano in quanto tale e quindi a tutta l’umanità. Il termine carne viene a comprendere in sé i caratteri, le manifestazioni, il modo d’essere e d’agire della creatura vivente. Il termine “carne” designa dunque l’essere umano, ma non in senso pieno, anzi, esprime piuttosto, dell’essere umano, l’infermità, la caducità, i limiti, in contrasto con gli attributi di Dio.”

“Newton credeva che il tempo fosse, analogamente allo spazio, un contenitore di eventi, Leibniz riteneva che esso, come lo spazio, fosse un apparato concettuale che descriveva le interrelazioni tra gli eventi stessi. John Ellis McTaggart credeva, dal canto suo, che il tempo e il cambiamento fossero semplici illusioni.”

“ Fui pervaso fin nel più profondo del cuore dal sentimento dell'impermanenza di tutte le cose che mi era stato trasmesso da mia madre. La vita umana era effimera come i petali avvizziti, spazzati via dal vento. La nozione buddhista dell'impermanenza (mujo) faceva parte del mio essere più intimo. Niente nell'universo intero può resistere al tempo. Tutto ne viene travolto, tutto è condannato a scomparire o a mutare. Anche lo spirito, come la materia, è chiamato a trasformarsi, senza mai poter raggiungere la permanenza. Per questo l'uomo è costretto ad avanzare in solitudine, senza alcun appoggio stabile. Come è detto nello Shodoka, neppure la morte , che lascia ciascuno solo nella sua bara, è definitiva. Soltanto l'impermanenza è reale”

BUUUM!

martedì 27 novembre 2007

CONTRO


Mi hanno richiamato indietro in questo triste e malsano paese dal mondo autistico nel quale mi aggiravo. Occorreva, senza riserve, la mia competenza in materia di oscenità umane e tragedie immateriali. Ho così intavolato una costruttiva discussione virtuale con una realtà per me allo stesso tempo nota ed ignota. La teoria dell’ iper-cubo è assolutamente applicabile alla realtà di tutti i giorni. E’ la prima cosa che salta all occhio del nostro paese. Non sapete dell’ iper-cubo? Tant’è che pensate lo stia inventando di sana pianta? Errore. E’ solo la vostra ignoranza impaurita che si difende con presunzione. Una ricetta comune. Il piatto nazionale. Se fossi negro sarei bruciato. Se fossi frocio sarei impalato. Se fossi comunista sarei fucilato. Ma anche da fascista verrei impallinato. Uno come me se fosse contrario sarebbe piegato e infine spezzato. Se io fossi allora sarei. Ma, miei cari interlocutori, che millantate fieri le vostre origini, che scrutate con sospetto le zone di luce della vostra anima, vi deludo. Io non sono, quindi, non c’è gioco al quale si possa partecipare insieme. La storia non insegna nulla se non è discussa. E con voi non parlo perché ora leggo cose che non pensavo avrei potuto. E mentre brucia la carta leggo meglio. Erano racconti di tempi passati. Era l’uomo nero che se non stavi attento ti portava via con se. Era zitti e mosca. Sbandierare di adolescenti circolarmente ignavi. Erano ormoni tradotti. Era identificazione in mancanza d’altro. Ma è ancora, e questo mi dispiace. Ritrovarmi solo a non giocare più. Muto fra cori da stadio. Indifferente a menzogne comuni e palliativi romani. Allora, allegramente scoglionato dagli eventi avversi e certo che mancava alla lista di volgarità pubbliche la mia, mostro il culo allargando le natiche senza veli né abbronzatura. Gioco a modo mio, autistico. E poi vi chiedo sorridente chi è il più serio fra noi. E di nuovo salto fuori dal cerchio e, come si diceva una volta, quando ci si divertiva davvero, “a monte! A monte!”. E ora non sapete più neanche quando si dice a monte scommetto. Certo non si diceva a caso. Se avessi abbastanza voce lo direi ancora oggi, generalizzandolo alle sveglie, ai discorsi coerenti, alle confidenze oniriche, alla ottusa consapevolezza dell’uomo moderno, alle serenate suonate da altri, al bello e al non bello, alle cose dette e ridette, trite e ritrite, alla totale dimenticanza che ce le fa ascoltare ogni volta come nuove, alle traduzioni poco fedeli e ai loro fedelissimi. Lo direi alla mia faccia di culo gassoso, insulsa, eppure perennemente appiccicata davanti a coprirmi. A monte tutto.



sabato 24 novembre 2007

that's groove man!


Sharon Jones & The Dap-Kings
"100 Days, 100 Nights"
daptone records

Dopo la foca il dubbio


Ci sono delle voci che disturbano. Insistenti ed inesistenti contro le quali tapparsi le orecchie non serve a molto. Già di per se una voce è un suono difficilmente contenibile. Le altre poi sono intollerabili.
Arrivare qui è solo un inizio. Mi rendo conto la parte difficile deve ancora venire. L’episodio di ieri sera con la foca è stato inquietante e oggi non è andata meglio. Non ho forza per approfondire anche perché sono certo che non lo dovrei fare in loco ma, come al solito, nel mio cervelletto dispettoso, o difettoso come mi ha blandamente comunicato uno degli ultimi medici interrogati: “Lei è come un tipico orologio meccanico, l’ora è quella giusta ma col tempo tende a perdere i secondi, poi i minuti, le ore.” Potei solo sgranare gli occhi incredulo “Non si preoccupi perchè quello dell’orologio, seppur finemente lavorato, è un meccanismo imperfetto in sé. È la fisica che detta le regole. Lei non è rotto è soltanto difettoso. Il nostro scopo è imparare a convivere con gli ingranaggi della nostra mente.” Lascio immaginare l’importante lezione di vita che ne trassi. Decisi infatti di lasciar perdere questi pragmatismi e dopo aver disdetto tutti i pochi appuntamenti del mese andai a casa. Attaccato un planisfero sul muro della stanza più grande, mi voltai e feci nove passi indietro. Relegando tutta la mia vita sulla punta di una freccetta chiusi gli occhi, respirai profondamente e feci il biglietto. Sono certo che la descrizione di quell attimo non sia possibile in base alle leggi della fisica classica e della fisica relativistica. Avrei voluto dire al dottore che "L’umana Inerzia m'ha condotto ed affidato ai Quanti. Loro hanno raccolto ed accolto la mia preghiera nell arco casuale di una freccia" e farmi ricoverare.
Invece eccomi qui, fa freddo e capisco poco o niente di quello che mi viene detto. Studio di sera a casa e di giorno lavoro facendo pratica. Tra le prime parole assimilate stabilmente ci sono laks, torks, haval, kreft. Lavoro al Fiske Torget sul porto, salmone, merluzzo, balena, granchio. Ma è una lotta impari. L’unico vantaggio che ho sulla lingua è il difetto che mi fa pian piano perdere il segno e ricominciare come nuovo. La penuria di risorse mi spinge a valorizzare il punto debole. Perseverando nell imperfezione riesco a non pensare al limite strutturale.
Bergen è una città della Norvegia nella contea di Hordaland. Con neanche trecentomila abitanti, è il secondo centro del paese dopo Oslo. Si dice che sia la porta dei fiordi. Io sono ancora sull uscio, in una piccola stanza vicino a Bryggen, un quartiere che è stato classificato Patrimonio dell'Umanità. Tante caratteristiche casette di legno sulla baia di Vågen ma ancor di più negozi, ristoranti, agenzie e turisti fotografici. Secondo me le uniche vere attrattive della zona sono il museo anseatico e quello di Bryggen, ma probabilmente sono io ad essere noioso, anzi annoiato.
Quando posso passeggio per la città e la cosa che più mi ha colpito è la quantità di università che ci sono, sarà per questo che vedo così tanti giovani. Ma non sono uno di loro. Io sono fra i tanti provenienti da varie parti d'Europa per lavorare d’estate. La maggior parte di noi è qui al mercato, che non è particolarmente grande, almeno per i nostri canoni. In compenso è assai vivace e ho già scoperto molte cose. Non sapevo ci fossero così tanti tipi di Salmone, affumicato, cotto al vapore, alla Bergen. E certo non avevo mai assaggiato prima la Balena affumicata.
Purtroppo però mi hanno fatto capire che lavorare stabilmente qui è difficile, bisogna parlare un buon inglese e molto spesso è richiesto di parlare il norvegese. L’estate finirà purtroppo e con lei la fiorente babilonia ittica. Sono a cavallo, al galoppo verso il ciglio di un fiordo. Bene, in un modo o nell altro sarò oltre l’uscio di Bergen.

giovedì 22 novembre 2007

domenica 18 novembre 2007

PERSPECTIVA

Voy a una tierra pobre.
Voy lejos de aquí.
Profundamente a me.

Todo alrededor
arena y rocas.
Delante de mí
trayectorias hacia las montañas.

No prometo nada.
No deseo nada.
Voy solamente.

Espero para decir como me llamo.
Porqué todavía
no he entendido como hacerlo.
Imagino un nombre.

Más allá de esos montajes
cielo azul y tierra ordenada
vientos perennes y reservados.

Voy a una tierra que ame ya.
Donde estaré capaz de recordar
lo que me he olvidado

giovedì 15 novembre 2007

La foca dubbiosa


L’altra sera uscendo dal pub di Bergen, stordito dall’alcool e dalla musica, mi diressi verso un angolo appartato per fare pipì. Non che ce ne fosse bisogno di nascondersi visto che qui in Norvegia non si esce per strada, e lo credo bene, i gradi sotto lo zero sono sufficienti a tenerti a casa o nei locali. Mentre mi liberavo dai liquidi in eccesso mi voltai tremante e felice verso il fondo dello stretto vicolo eletto a latrina. Quello che vidi mi spaventò non poco: una foca mi guardava con aria dubbiosa. Non sapendo bene del carattere di questi curiosi animali corsi via senza pensarci e mi rintanai di nuovo nel pub. Archiviai la cosa come folkloristica. La musica era finita, la gente defluiva ordinata e barcollante verso l’uscita. Rimasi ancora a bere e a guardare un gruppo di ragazzi mentre giocavano a freccette.
Verso mezzanotte eravamo rimasti veramente in pochi e mentre cercavo di convincermi che fosse giunta l’ora di andare a letto suonarono le campanelle attaccate alla porta d’entrata. Con mio enorme stupore, lenta ma sicura, entrò la foca che avevo visto poche ore prima. Mi lanciò un occhiata interrogativa poi si diresse verso il bancone. Nessuno disse niente, ognuno continuò a badare ai fatti propri, solo io ero attaccato alla sedia come se avessi visto un fantasma. Nell’aria si era diffuso un forte odore di pesce e salsedine. Le tavole di legno scuro scricchiolavano sotto il peso dell animale che si accomodò a modo suo su di uno sgabello. Emise una serie di versi indecifrabili. Il barista tornò dopo un minuto, gli porse cortese una pinta di birra con un bel po’ di cannucce nel bicchiere e tornò a spazzare la sala. Prima di bere si voltò ancora verso di me, di nuovo quell’aria perplessa. Fece un verso in mia direzione sollevando le cannucce col muso. Io, rigido come il ghiaccio, risposi al brindisi con un timido “Det er sent! Jeg må gå...” e poi di corsa al barista, come a voler confermare “Kan vi få regningen?”. L’uomo sorridendo sornione si avvicinò “førti euro, takk”. Mi affrettai a prendere i soldi.
Appena l’uomo tornò con il resto resistetti all’istinto di precipitarmi alla porta. Con malcelato tremore mi sollevai sulle gambe ripetendomi “sono ubriaco, sono ubriaco”, arrivai all’uscita e voltandomi verso la sala biascicai un “God kveld…”.
“God Kveld!” risposero.

domenica 11 novembre 2007

Risposta al neorealismo


Fuoco su frammenti di muro e piante
rampicanti del cuore
Un gatto si aggira ancora magro tra il reticolato della mente.
Cerca cibo, ma io non ne ho più…
non ho nulla da dare a quella bocca affamata…
nulla che non mi faccia digrignare i denti
Porte spaccate/mani rotte/sangue/ io che inseguo i miei sogni/primo disegno verde sul muro
Incubi si susseguono frenetici nella mia mente,
tutto ciò di splendente è deformato,
tutto ciò di decadente è vivido e lontano.
Chiudono i ponti davanti a me
I rubinetti finiscono di gocciolare, lo specchio riserva ancora i miei trucchi davanti a mille e più occhi
Esco dalla doccia vestita invernale
l’asciugamano ancora intorno al corpo
Quello che era da serbare è qui
dentro me
Ma qualcosa sputa fuori
Qualcosa che non smetterò mai di vomitare
Risale dalle viscere
Esce da tutti i pori
Si trasforma in bava/lacrime/dolore/aria soppressa/smorfia sul viso/mocciolo liquido/occhi gonfi/ labbra serrate
Si trasforma in sorriso che esplode
In fusa nelle mie orecchie
Scroscia l’acqua sul mio corpo livido per il troppo tempo abbandonato
Ma siamo qui
vivi
Calpestati da tutte le avventure
Con calli tendenti a circondare vene sottili
Ancora qui
Con il sorriso del disprezzo
Il riso che si trasforma in ghigno capace di deglutire
Io conosco quel sorriso
Come una mela acerba che si apre al sole
Ricordi sfrattati
Chiusi in una valigia fatta esplodere da criminali di quartiere
colpe da non far risalire
vittime e carnefici sono solo fogli trasparenti dai risvolti appannati
gocciolo veleno dai capelli strappati
il liquido amniotico mi ricorda che esisto
io
e anche tu
ragazzo dalle mille canzoni
lasciato in una macchina per troppo tempo
inghiottito da meccanismi di cera
il mio sorriso come mela acerba va a noi
piccoli asteroidi impazziti in un Roma di diapositive e polaroid
motorini, incendi, macchine da presa, gente del manicomio, baci e schiaffi che paralizzano il tempo
ma ancora ricordo il muretto nella strada del vecchio mercato
la mano nel buio
e un amico che urla in preda a distorsioni immaginarie
nulla è perso ora che so che ancora siamo
non più
non solo
ciò che la fragilità nella foto di me a trigoria con il vento nei capelli e gli occhi nel passato/presente guardava persa
ora,
indosso ancora quel profumo inebriante di mela


Pamela

sabato 10 novembre 2007

(RI)EDIZIONE STRAORDINARIA

Per chi si fosse collegato solo ora, la situazione che abbiamo davanti ricorda, per chi li avesse visti, i buoni vecchi film di una volta.
Incredibilmente, come non succedeva da anni, è cominciato a cadere del soffice nevischio sulle nostre teste frementi. La folla s’accalca dinanzi lo scoop che IO ho scovato fra mille bufale e inutilità.
L’ufficio stampa ci ha ora comunicato che i tre ambasciatori esteri, incuranti dello sciopero mondiale dei trasporti, si sono avventurati con mezzi di fortuna attraverso le terre dimenticate per assistere personalmente all’evento e, secondo voci non confermate ufficialmente, per essere ricordati negli annali come i primi ad aver reso gli onori all’importante ospite che tutti attendevamo.
Intanto però ci è stata interdetta l’area dell’evento, tutte le autorità si sono riunite in un consiglio speciale per deliberare sulla reale necessità di cotanta risonanza mediatica. Poi, infastiditi, hanno dato istruzioni ai propri sottoposti -che ricordiamo non essere altro che pastori e contadini- di tenerci lontani dal fulcro della storia.
Ma noi non ci arrendiamo e stiamo lavorando affinchè ci sia fornito un regolare “press pass” per aggiornarvi minuziosamente sull evento, secondo i diritti che la democrazia ci ha concesso.
-PUBBLICITA’-

“Ti senti solo? Non vedi luce? Arranchi fra quattro mura? Magari se provi ad uscire ogni tanto…-
PORTASPASSO srl- Accompagni professionali per tutte le occasioni!”

-FINE PUBBLICITA’-
Eccoci di nuovo con voi per importanti aggiornamenti: ignoti hanno lanciato in nostra direzione, dal vicino comune al di la dei monti, un immenso razzo luminoso, di certa provenienza illegale. La potenza illuminante dell oggetto è veramente incredibile, esso riesce ad illuminare quasi a giorno la lande sterili alle nostre spalle. Credo che una tale luce potrebbe essere vista a vari chilometri di distanza. Non capiamo il senso di tale gesto, ancor di più durante momenti tanto concitati. I soliti mitomani vandali e ignoranti che intendono lasciare la loro ignobile firma su questo importante giorno. Ma noi non demordiamo, faremo sì che queste ore restino impresse nell’immaginario collettivo per sempre.
E non potranno certo questi scarti d’uomini impedirci di dare la giusta chiave di lettura a voi che ci onorate con la vostra semi-vigile attenzione.
-PUBBLICITA’-

“la notte non dormi?il giorno non sei vigile?la vita ti sfugge di ora in ora?
CANNADELGAS ong- contatta i nostri volontari e affidati a loro per un silente trapasso!”

-FINE PUBLICITA’-
bentrovati a newstory24, come potete bene immaginare l’atmosfera si fa di minuto in minuto più elettrica. Siamo riusciti a guadagnare di nuovo il bordo dello stage e non saremo disposti a mollarlo di nuovo. Siamo qui per voi e questo ci da la forza di continuare!
Mancano pochi minuti, mi dicono, e finalmente vedrà la luce. Anticipatamente ringrazio tutti i tecnici e gli autori che tra mille difficoltà si sono prodigati affinchè questo grande e difficile evento potesse raggiungervi…
Ma ecco! Ecco!
Mi fanno segno di avvicinarmi!
L’ora è giunta e fra sbuffi caldi d’animali, fieno e polvere raggiungo i nostri eroi…
Le parole non servono, miei fedeli accoliti, a descrivere quello che tutti noi possiamo ora finalmente vedere con i nostri occhi colmi di lacrime. I vagiti riempiono queste povere mura che ora sembrano laminate d’oro.
Vedo in lontananza la delegazione degli ambasciatori avvicinarsi con i tanto attesi doni, fra le grida di villici estasiati tutto attorno. Anche l’immenso razzo luminoso ci ha quasi raggiunto e per fortuna va perdendo potenza scongiurando così definitivamente la possibilità di un tragico epilogo a questa magica notte.
Se ci saranno ulteriori sviluppi sul caso della famiglia di Nazareth mi prenderò la libertà di chiedere la linea in diretta.
Da Betlemme per ora è tutto, un cordiale buonanotte e…
A voi la linea.
[15] Giovanni gli rende testimonianza
e grida: "Ecco l'uomo di cui io dissi:
Colui che viene dopo di me
mi è passato avanti,
perché era prima di me".

mercoledì 7 novembre 2007

martedì 6 novembre 2007

DEDICATO A PIER PAOLO PASOLINI

Non ce la faccio ad accendere il televisore. Non riesco a farmi una canna. Non riesco a respirare profondamente.
Un decennale cerchio di silenzio, violenza e sofferenza s’è chiuso e il freddo si insinua molto facilmente sotto le difese.
Odiavo la casa dove cercavo di non abitare. Simbolo di negazioni familiari, anni bui in cui mi sono quasi soffocato, persone e cose mutate, incubi indimenticabili.
Ignoti ne hanno fatto propria magione. Divenuti poi noti, purtroppo, fin troppo noti. Criminali rapinatori crackomani, violenti e fisicamente prestanti. Folli con i quali sono cresciuto. E’ strano verificare come i ricordi mutino e maturino nella testa, erano la mia gente, quelli delle case.
Giorni fa i miei genitori mi chiamarono, a loro volta avvertiti da quelle anonime voci che sempre hanno albergato nei degradati angoli delle case popolari. Mi venne a prendere mio padre. Diretti verso quella che fu la nostra casa, ora occupata. Avrei solo voluto sparire, annichilirmi nel sedile dell’auto e lasciare a chi davvero ne avesse voglia il freddo e lo scotto d’esistere.
Poteva essere un film ma eravamo noi con i carabinieri, dall’altra parte della strada a osservare una luce accesa che non era mia. Eppure in quel caos lassù c’era tutto ciò che sono stato, le mie cose. Le cose. Cos’ho io davvero? Guardando quei palazzacci una volta simil-bianchi ora vecchi e decadenti, fra le fantasie d’architettura popolare privata, ognuno ad estetizzare il proprio territorio secondo necessità, perso fra le parabole fuori dai balconi, panni stesi, finestre socchiuse piene d’occhi curiosi ma assuefatti al grigiume. Compresi che io volevo solo andare via e non chiedermi più se prima d’oggi ero stato qualcosa da qualche parte. Dimenticare una volta e per sempre del fuoco che marchia i maiali.
Se uno si abitua a vivere in certi posti acquisisce altre capacità sensoriali, sò capire senza comprendere come, se qualcuno sta facendo qualche impiccio, se fa il palo o semplicemente se è un criminale o un pollo e tante altre cose particolari. Sono sguardi, movimenti impercettibili, parole sussurrate, è quel grigio che ha invaso pure me. Sospetti ne avevo, certo, ma è bastato un movimento di persone fuori, allo scoperto, quelle posture, la tracotanza di chi non teme, anche a cento metri capii, la casa era persa anche se riconquistata, per sempre. Perché se uno vuole vivere sott’acqua ha da accettare di respirare col culo, oppure fuori. Lo stato di diritto fa un ipocrita passetto indietro quando c’è chi davvero se ne fotte di questa sovrastruttura poco animale.
Il paradosso è il senso di liberazione che mi pervase, sarebbe stato totale se non fosse stato ostacolato involontariamente dalla restante parte della famiglia. E’ che purtroppo li si sono venuti a stringersi nodi che ognuno, negli anni, ha diversamente affrontato. Io sono lentamente morto, giorno dopo giorno sono scivolato nell’ ultranero degli avvenimenti che nel loro susseguirsi isterico m’hanno spento. Un morto silente. Ma il sistema era cristallizzato. Tutto quello era necessario se non indispensabile. Io quel giorno li non c’ero, e non ho mai provato un senso di assenza così grande, contrastato solo per il fatto di non essere solo e di non essere stato capace d' egoismo fino in fondo.
Nel frattempo, nei giorni, ci sono state denunce alle autorità competenti, minacce criminali formali, violenza privata, assenza, questura, lo sgombero, ennesime nette minacce di vita e la scoperta che probabilmente io non avevo più un passato. Cosa racconterò ai miei figli se mai il mio sperma ritroverà la sana forza di fare breccia in corpi altrui?
Persi tutto durante un bombardamento di una guerra di cui nessuno ha mai parlato se non per sentito dire. Gli spiegherò che le foto se sono vere foto lasciano impresse le immagini primarie sul cuore. Gli dirò che erano belle foto, gliele racconterò. E gli spiegherò della violenza delle guerre che tutti i giorni si consumano su questa martoriata terra, che non hanno occhi per distinguere, ne orecchie per ascoltare, tantomeno cuori con cui provare a capire. Esse hanno il solo scopo di ottenere. Gli confiderò che le lacrime arrivarono fino agli occhi e che avrei anche voluto essere li per lasciare che facessero del mio volto ciò che preferivano.
Ma non c’ero quel giorno, dov’ero io purtroppo era altrove. Nella paura di perdere le uniche piccole cose care che m’ appartengono. Le persone vive che m’hanno generato, che non vorrei vedere piangere. Gli amici, gli amori i miei pensieri, sacralità alle quali m'inchino.
Oggi ho capito di non avere nulla al di fuori di ciò che mi è entrato dentro.
Non ce la faccio a piangere. Non posso rimanere qua dentro ne uscire.
Non mi riesce di dimenticare come si nuota per lasciarmi annegare.

domenica 4 novembre 2007

donn/RACK

Che buon sapore hai
Riesco a sentirlo per un istante
La tua pelle liscia è invisibile
Si scioglie nel fuoco del mio amore
Poi veloce t'allontani
Rimango solo
Io e il desiderio di te
Costante mi consuma
Ti ho odiata
Crudele e conscia del tuo potere
Ma sbagliavo e solo ora capisco
Nel tuo fare non fingi nè pretendi
La tua sincerità è disarmante
L'errore è solo in me
Incapace di accontentarmi
Bramoso degli istanti chiusi nel tuo cuore
Sbaglio perchè so quanto è piccolo l'uomo
Nel cercare d'abbracciare il cielo
MySpace Editor

mercoledì 31 ottobre 2007

fiamMEtriche

Estremità imbarazzanti
Timori illusioni necessità
Voglie come pioggia
Con corpi lisci giacere
In corpi voluttuosi arrendersi
Possedere ferire lenire
Sangue mio mare annegami
Bollente ambiguità dell'essere
Amore e morte s'accomunano
Mano nella mano occhi negli occhi
Pregni di sereno
scivolano sorrisi nell'abisso

MEMO-ERE

…Ricordo…
…Grida che si fanno distanti mentre piangendo cammino sotto un cielo nero come pece. Tanto vado avanti lungo la via quanto più si fa presente in me la sensazione che di niente mi stia allontanando da ciò che voglio.
Dal nulla nasce questo futile peregrinare di landa in landa o forse meglio crederlo, nascondere sotto pesanti strati di sabbia la consapevolezza delle molteplici cause.
Desolato si stende dinanzi il mondo, sferzato con violenza mai doma da tesi venti carichi di sabbie, in turbini frenetici di foglie secche e ricordi. Gli occhi colmi di lacrime bruciano socchiusi cercando di cogliere i confini del sentiero attraverso la tempesta.
Instancabili le correnti spingono da ogni lato e la follia delle grida nell’ aria, fra le rocce cresce smisurata, senza pietà, disorientandomi, trascinandomi, invischiandomi in incubi densi come fango e non riesco più a muovermi e sempre più piccolo sento il corpo, inerme, fragile, naufrago. Dove proteggermi? Grido la mia disperazione al cielo invisibile fra polveri e detriti che trafiggono la carne come chiodi.
D’un tratto un ‘immensa corrente ascensionale mi strappa dalla terra amata e in un istante vengo catapultato in alto come piuma, vedo sotto di me l’infuriare delle nubi ribollenti, vedo le mie paure e tremo poiché, così come ho volato, vengo di nuovo lasciato al peso del mio inutile corpo, precipito, urlo, terra…
…Ricordo…
…Un sogno. Il lenzuolo zuppo di sudore ed io con lui. Sollevo un poco la testa dal cuscino annusando piacevolmente l’aria fresca che si insinua sotto il collo, fra i capelli, nella testa pulsante. Resto così per un po’, come ipnotizzato, incapace di pensare, completamente vuoto.
Una goccia, lentamente, si forma sulla fronte, scivola lucida e fiera sul sopracciglio, ne seguo con la mente il cammino. Raggiunge il naso e ancora calma scende fin giù alle narici, tremolando prima di cadere come pioggia sul petto nudo. Scivola di lato lungo le costole, va e scompare nel letto.
Di nuovo affondo violentemente la testa fra le pieghe della realtà e chiudo gli occhi…
…Ricordo…
Nel fresco della selva finalmente mi rivedo. Disteso sotto la folta chioma di un albero sconosciuto, al fianco del mio fido compagno di viaggio. Nel silenzio del verde, rotto soltanto dal cinguettio degli uccelli e da qualche lontano verso d’animale. Ripenso al passato ma subito distolgo lo sguardo da dentro e fisso attento il cielo azzurro ricamato di tenui nubi vive, bianche come angeli. Vola la mente fra fanciullesche fantasie e si perde in giochi soffici come l’innocenza. L’amico caro mi guarda con quel suo unico intimo sorriso lieve. Non parliamo la stessa lingua, siamo nati lontani, ma gli occhi sono gli stessi. Pronti a piangere, a dischiudersi fiduciosi alla vita o a stringersi nel rifuggire dalle pene che tutt’attorno fluttuano meste. Anche sul mio volto sento esplodere un incontenibile gioia, proprio mentre il sole si insinua con tutta la sua luminescenza fra i rami ombrosi, abbagliandomi, sommergendo con macchie di luce dorata la mia pelle d’ebano. Fin dove verrà avvertito l’esplodere dei nostri sentimenti? Le risa, le danze, i canti. Porgo la mano al compagno e ci perdiamo in una stretta infinita. Osservo attento le sue dita scure, ruvide, forti. Ma questo arto è tutto ciò posso vedere…
…Ricordo…
…incredulo alzo lo sguardo ed oltre il polso nulla vedo se non il vuoto. Stringo nella mia una mano morta, senza corpo e oltre me il mondo è scomparso in una nebbia lattiginosa. Scaravento a terra l’orribile moncone che irrealmente, come un ragno, comincia a muoversi verso me. Indietreggio nel nulla tremando fin quando infiniti tentacoli di foschia mi legano a loro sempre più stretto, immobile. Non posso fare altro che sentire salire su di me il terrore, fin quando è al collo e lo stringe di colpo senza pietà lasciandomi soffocare. Il vento comincia a sollevarsi duro e le correnti mi sfiorano senza che possa respirarle. Allo stremo tutto tremola dinanzi. Le lacrime e le mute mie grida si fanno più distanti…
…Ricordo…

sabato 27 ottobre 2007

a volte è bello essere tristi

Quando mi hai detto:” è che sono depressa, tutto qua!”, io ho sorriso. Mi capita poco spesso di sentire un sorriso così sfaccettato verso qualcuno. In quel momento, forse più che in molti altri, ti ho sentita vicina, mi è parso di capirti davvero. Non che io non ti capisca, è stata una comprensione molto più ampia del solito consentitoci. Sarà che simili siamo dopotutto, nell’accordatura iniziale, nell’ orientamento massimo.
Ti ho sorriso perché ti ammiro in questa tenace umiltà aggressiva, che molto m’appartiene.
L’ho fatto perché dall’immagine tua, o come preferisci, da quel che io vedo di te, trasuda voglia sincera di sorridere del semplice e mi contagi.
Noi artisti di strada dobbiam per forza esser mesti, ma vorremmo volentieri ridere di gusto. Sbaglio?
Mi rallegro della tua tristezza, ti fa onore.
E’ triste chi non cede hai compromessi, chi non bara, son tristi quelli che giocano, sudano e magari quella volta gli va storta. E’ triste chi per il momento rinuncia perché è meglio così.
Tu ce la farai, anzi quelli come noi, che non siamo certo unici, ce la faranno.
Perché, vivendo, ciò che mi è capitato mi ha lasciato qualcosa: quello che ci può fare camminare a testa alta, dentro e fuori, non è l’obbligatoria realizzazione di un progetto.
E’ la tenacia, la tensione interiore incurante degli eventi che ci ha giurato fedeltà e della quale siamo degni.
E ho capito che davvero la vita è propria. Non un’idea comune e statica. E credimi, sentirlo veramente, almeno una volta, cambia molte cose.
Quello che ci succede, o che non ci succede, è comunque un espressione del nostro esistere, nel passato, nel presente e nel futuro.
Non buttare via i propri pensieri, solo questo può renderci, non semplicemente felici, ma almeno sempre più vicini alla concentricità.
Magari è stupido quel che dico, o meglio scontato, retorico, populista, utopico, semplificatore, mistificatore, forzato, infantile.
Sono tutte queste parole il problema, a volte troppe, limitanti eppur ambigue. Nella testa e fuori.
Senza tante parole, a volte, si potrebbe non pensare ma agire, nel dirsi: “ ok, so di essere serio. So di dare, davvero”. Fiducia nel fatto che chi cammina dritto e con occhi ben aperti troverà del buono. E basta.
Saper dire basta. Povero o ricco, specializzato o generico, elegante o trasandato, poco cambia se si schiude minuto per minuto di fronte a me un fiore che non conosco.
Ho incontrato persone povere d’animo, benestanti e ricche.
Io almeno in questo non ho remore, mi vedo fra i nobili. Nobile ignorante, decaduto, quello che vuoi ma dall’alba mitica. E tu anche sei li, e sono serio nel dirlo. Non si deve dimostrare a nessuno, almeno questo.
Una lettera per dirti della luce che irradi e della quale sei fatta.
Per ricordartelo sfacciatamente.

giovedì 18 ottobre 2007

COMETE

L’universo, immensa culla della materia tutta, volle avvicinare due sue creature.

Vagava senza orbita una cometa di rara bellezza. La lunga scia blu tracciata al suo passaggio rischiarava gli angoli più bui dello spazio e nel silenzio cosmico la sua sola presenza sembrava facesse udire musica celestiale. Ogni figlio del cosmo sperava, spesso invano, nella sua casuale venuta. Lei, fiera ed ostinata, continuava l’infinito viaggio alla ricerca di qualcosa.

Vagava senza orbita una cometa di rara intensità. Giovane e vigorosa percorreva spazi immensi senza sosta, rallentando la sua corsa fra enormi campi di gravità per riscaldare con la lunga scia cremisi le immense valli del vuoto. Lingue di fuoco come serpenti si contorcevano fra loro in un inarrestabile moto violento. Chiunque avrebbe sperato nella sua calda ed eterna compagnia ma lei come fuoco divino rimaneva ad ardere distante.

L’universo, infinito spazio senza confini, volle avvicinare due sue creature, per sempre.

“Cosa giustifica un esistenza comprovata solo dall essere in un dato tempo e luogo? Essere, semplicemente, con l’unica certezza della venuta in futuro del non-essere, poi più nulla. Se cosi fosse sarebbe davvero una realtà vana. Ma come può una cometa varcare il limite di tanta bassezza?”
Continuò il suo ancestrale errare senza più pensare nulla di ciò.
Grossi globi infuocati, Placide sfere d' acqua, terre arse da soli multipli scintillanti. Queste e molte altre cose vide ma nulla che potesse rispondere ai suoi profondi e intimi quesiti.

Una scheggia dall' energia massiccia solcava il cielo oltre il cielo. Ripensava alla sua nascita, ricordava il buio, ne ricordava l’immaterialità, la sua non presenza in quel non luogo. Poi l’immensa inafferrabile luce. Ricordava le parti di se fondersi svelte, roccia fusa ed infine la scintilla dalla quale scaturirono fiamme e lapilli vivi. Ne rammentò l’appagamento e vide ancora l’inizio del suo vagare. Niente altro poi. Anni, secoli o millenni non hanno avuto più senso da quel momento. In fondo però sapeva che il tempo, per quanto dilatato e inconsistente, è come una lama che oscilla ritmica alla gola, lentamente inesorabile abbassandosi. Talmente impercettibile da sembrare ferma per lunghi tempi. Ma egli sapeva ed il seme del dubbio cominciò a germogliare affondando le radici nell’anima.

Un buco nero, vortice cosmico a cui anche la luce si piega, volle benedire l’unione.

In basso, su un piccolo lembo di terra, dentro un piccolo osservatorio antidiluviano, un piccolo astronomo dai capelli scomposti. Grigia cornice per un volto vecchio e forte, sguardo che vaga in cielo in cerca di vita. Il suo occhio velato dagli anni sapeva vedere dove nessun altro uomo avrebbe potuto. Di questo raro privilegio, quel giorno, ne provò la vera ebbrezza. La sua seconda giovinezza. Rinascita. La pelle scavata da lunghi solchi fu rischiarata da un sorriso talmente sincero, puro, straripante commozione e gioia da …
...davanti quegli occhi di bambino si mostrava il mondo in tutta la sua meraviglia.

Due comete di rara bellezza ed intensità, perfettamente allineate e sincrone verso la nera densità del vuoto. Freddo ed insignificante evento per i più. Egli invece…

La lunga tunica bianca sollevata dal vento, scintillante alla luna di un irreale riflesso argenteo, si contorceva come se cercasse disperatamente di rimanere attaccata al corpo dell uomo che urlando e ridendo correva giu per la collina. L’osservatorio alle spalle si fece piccolo, il monte stesso scivolava via. Vide lontano il mare, la terra distante con la sua materna rotondità.
In alto fin quando il pianeta stesso fu solo un punto fioco. Egli però guardava avanti e non pensava altro. Pronto ad essere testimone dell unione di due astri. Pronto a seguirli ovunque.

Fu il caso forse--------------------------------
------------------------O il destino che volle
Eppure io ti ho trovato-----------------------
--------------------------------Io ho trovato te
Ora capisco-------------------------------------
---------------------------------------Del vuoto
Del pieno---------------------------------------
------------------------------------Nero vortice
Terrore universale------------------------------
---------------------------------Nostra rinascita
Attratti senza via--------------------------------
----------------Dalla vita che vuole ucciderci
Ma noi non moriremo-------------------------
-------------------Noi saremo-------------------

mercoledì 17 ottobre 2007

ELIOfanti

L’ultimo Eliofante solcava il cielo
Terminato il suo letargo secolare
Solo priorità balenavano fra quei vuoti
Trovare paffute nuvole da mangiare
Eliofantessa soffice come seta
Creare vita in volo verso spazi remoti

L’ultimo Eliofante placò la fame
Vide passare innumerevoli cieli e lune
In tanta immensità non trovava vita
Anche se rischioso volle tentare
Abbandonando le ampie distese d’aria dov’era nato
Arrivare la dove forse era atteso

Un Eliofante è come il fratello terreno
Stessa la mole e le movenze
Ma non possiede peso più dell’aria
Simile ad un fumetto d’altri tempi
Attende calde correnti ascendenti
In un attimo vola e la figura si fa seria

Lontane dietro le foreste verdi smeraldo
Deserti tremolanti e sempre uguali davanti
Mai l’avrebbero costretto a fermarsi
Non prima d’aver trovato il paradiso

Il sole torrido stava per schiacciarlo
All orizzonte iniziava a prendere forma una città
Fu oasi di salvezza per lo stremato mastodonte
Torrido sole
Puntò dritto alla ricerca di un prato morbido

martedì 16 ottobre 2007

AGAIN ON THE ROAD mother fckr!

Di nuovo qui. Dove non so, ma non è importante.
Oggi gran giorno di merda è il giorno in cui devo ennesimamente ricominciare e mi sono un pò rotto le palle.
Ma vien da se che è meglio non opporre troppa resistenza agli eventi perchè temo che anzichè il semplice mal di pancia potrei accusare mali peggiori.
Mi sono licenziato a farla breve e vaffanculo.
Scelta sofferta ma ineluttabile, dopotutto sono tre mesi, TRE, che aspetto lo stipendio e , non avendo chissà quali bene al sole, credo di avere fatto la scelta giusta.
oggi sono volgare e anche un poco splatter, quindi sti grancazzi.
In compenso sto festeggiando il nefasto evento con della techno abbastanza rude nelle orecchie e un ricca bottiglia di spumante Asti Fiorelli in solitudo.
Al momento sono a poco più di mezza bottiglia e innumerevoli brindisi in mio onore.
Stamattina mi sono alzato con il culo scoperto, allora mi sono detto: "vaffanculo world!", mi sono rimesso a dormire per un paio d'ore. Finalmente poi la bile onirica mi ha costretto ad alzarmi, vestirmi, uscire "di corsa" verso il lavoro, con la mia fedele penna USB pregna di dimissioni. Però ancora ci speravo di non dovere arrivare a questo. Allora mi sono fermato alla posta, ergonomicamente posta, giusto 50 metri prima del portone dimmerda.
(intanto la tekno incalza, la spuma decresce e questo fa bene al tutto).
Fino a ieri avevo "meno 50 cent di euro"... Stamane anzichè l'accredito dell agognato stipendio mi sono trovato un ulteriore rosso di quasi dieci euro... Avrei voluto essere il tizio dopo di me in fila ed ascoltarmi nel borbotto crescente, nell imprecazione a medio volume e infine, scusa Dio, nella bestemmia con dedica a volume pieno.
Il mio passo allora si è fatto svelto e non so se qualcuno di voi sa la differenza fra una persona rossa in faccia che urla e una bianca in faccia che tace e guarda fisso. Sapete qual'è la più pericolosa? Sapete qual'è la disposizione corporea pre-rissa? Dove viene indirizzato il flusso sanguigno e perchè? Bè se non lo sapete informatevi e non vi lasciate intimorire dal rumore, del silenzio abbiate paura. Per un attimo ho capito come poter andare a finire sulle cronache. Nere. Allora ho prestato attenzione a dov'era diretto il mio plasma denso di fiele e ho semplicemente consegnato ciò che dovevo.
Poi son tornato a casa. CASA, mannaggia, ma c'è almeno una parola che abbia un significato simile nel vocabolario e nella mia testa?
Intanto lo spumante ASTIFIORELLI docg tende allo zero e io con lui per quello che concerne voglia di pace.
Techno spumante per festeggiare fallimenti incolpevoli.
VAFFANCULO!

sabato 13 ottobre 2007

si parte? scusi ma verso dove?

Lo sapevo. Prima o poi sarebbe successo. Solo questione di tempo.
Già mi interrogo sulla mie reali capacità di gestione. La mia eventuale costanza al riguardo.
Ma non importa.
Quello che mi fa più paura in assoluto di queste ridondanze dell' ego (blog) è il fatto di affezionarsi.
Così come lo si fa con myspace, youtube, messenger, secon life, gdr,ed ad libitum sfumando.
affezionarsi al nulla.
Mi angoscia il fatto che tutto si basi su cose virtuali. Io scrivo e posto. Su youtube prima converto sul mio computer poi uploado. In second life passo tempo a esplorare posti che non ci sono, incontrando gente che c'è, forse, altrove.
Anche io, come il restante mondo sto lentamente spostando le mie azioni fuori dalla realtà.
Conoscendomi direi un ritorno alle origini.
Ma se domani mi si impalla il computatore? E l'energia? Fintanto ce n'è io ci sarò.
Fuori e dentro.
Ma poi?
La carta vince su tutto (di sicuro sul sasso, per la questione forbice v'è tutt' ora vivo dibattere).
La carta, come ha già fatto più volte ci sopravviverà. Raccontando tenace la sua storia.
Quando moriranno parole e inchiostro lo sarà anche l'uomo.
La tastiera non digiterà più, i cluster dell' hard disk si danneggeranno irrimediabilmente e così anche la copia di backup. Sarà impossibile recuperare i dati poichè rigato per sempre il cd, il dvd, il double layer,. Il laser fuori centro ci renderà ciechi.
Allora perchè lo stai facendo? Domanda arguta.
Perchè mi affascina quello che invece c'è oltre.
E se qualcosa riesce ad affascinarmi veramente altro non chiedo
Questo è solo un inizio. Rileggerò queste parole e mi sentirò piccolo.

Emiz

pz
Cercherò di stampare tutto e di mettere via per i tempi duri