martedì 6 novembre 2007

DEDICATO A PIER PAOLO PASOLINI

Non ce la faccio ad accendere il televisore. Non riesco a farmi una canna. Non riesco a respirare profondamente.
Un decennale cerchio di silenzio, violenza e sofferenza s’è chiuso e il freddo si insinua molto facilmente sotto le difese.
Odiavo la casa dove cercavo di non abitare. Simbolo di negazioni familiari, anni bui in cui mi sono quasi soffocato, persone e cose mutate, incubi indimenticabili.
Ignoti ne hanno fatto propria magione. Divenuti poi noti, purtroppo, fin troppo noti. Criminali rapinatori crackomani, violenti e fisicamente prestanti. Folli con i quali sono cresciuto. E’ strano verificare come i ricordi mutino e maturino nella testa, erano la mia gente, quelli delle case.
Giorni fa i miei genitori mi chiamarono, a loro volta avvertiti da quelle anonime voci che sempre hanno albergato nei degradati angoli delle case popolari. Mi venne a prendere mio padre. Diretti verso quella che fu la nostra casa, ora occupata. Avrei solo voluto sparire, annichilirmi nel sedile dell’auto e lasciare a chi davvero ne avesse voglia il freddo e lo scotto d’esistere.
Poteva essere un film ma eravamo noi con i carabinieri, dall’altra parte della strada a osservare una luce accesa che non era mia. Eppure in quel caos lassù c’era tutto ciò che sono stato, le mie cose. Le cose. Cos’ho io davvero? Guardando quei palazzacci una volta simil-bianchi ora vecchi e decadenti, fra le fantasie d’architettura popolare privata, ognuno ad estetizzare il proprio territorio secondo necessità, perso fra le parabole fuori dai balconi, panni stesi, finestre socchiuse piene d’occhi curiosi ma assuefatti al grigiume. Compresi che io volevo solo andare via e non chiedermi più se prima d’oggi ero stato qualcosa da qualche parte. Dimenticare una volta e per sempre del fuoco che marchia i maiali.
Se uno si abitua a vivere in certi posti acquisisce altre capacità sensoriali, sò capire senza comprendere come, se qualcuno sta facendo qualche impiccio, se fa il palo o semplicemente se è un criminale o un pollo e tante altre cose particolari. Sono sguardi, movimenti impercettibili, parole sussurrate, è quel grigio che ha invaso pure me. Sospetti ne avevo, certo, ma è bastato un movimento di persone fuori, allo scoperto, quelle posture, la tracotanza di chi non teme, anche a cento metri capii, la casa era persa anche se riconquistata, per sempre. Perché se uno vuole vivere sott’acqua ha da accettare di respirare col culo, oppure fuori. Lo stato di diritto fa un ipocrita passetto indietro quando c’è chi davvero se ne fotte di questa sovrastruttura poco animale.
Il paradosso è il senso di liberazione che mi pervase, sarebbe stato totale se non fosse stato ostacolato involontariamente dalla restante parte della famiglia. E’ che purtroppo li si sono venuti a stringersi nodi che ognuno, negli anni, ha diversamente affrontato. Io sono lentamente morto, giorno dopo giorno sono scivolato nell’ ultranero degli avvenimenti che nel loro susseguirsi isterico m’hanno spento. Un morto silente. Ma il sistema era cristallizzato. Tutto quello era necessario se non indispensabile. Io quel giorno li non c’ero, e non ho mai provato un senso di assenza così grande, contrastato solo per il fatto di non essere solo e di non essere stato capace d' egoismo fino in fondo.
Nel frattempo, nei giorni, ci sono state denunce alle autorità competenti, minacce criminali formali, violenza privata, assenza, questura, lo sgombero, ennesime nette minacce di vita e la scoperta che probabilmente io non avevo più un passato. Cosa racconterò ai miei figli se mai il mio sperma ritroverà la sana forza di fare breccia in corpi altrui?
Persi tutto durante un bombardamento di una guerra di cui nessuno ha mai parlato se non per sentito dire. Gli spiegherò che le foto se sono vere foto lasciano impresse le immagini primarie sul cuore. Gli dirò che erano belle foto, gliele racconterò. E gli spiegherò della violenza delle guerre che tutti i giorni si consumano su questa martoriata terra, che non hanno occhi per distinguere, ne orecchie per ascoltare, tantomeno cuori con cui provare a capire. Esse hanno il solo scopo di ottenere. Gli confiderò che le lacrime arrivarono fino agli occhi e che avrei anche voluto essere li per lasciare che facessero del mio volto ciò che preferivano.
Ma non c’ero quel giorno, dov’ero io purtroppo era altrove. Nella paura di perdere le uniche piccole cose care che m’ appartengono. Le persone vive che m’hanno generato, che non vorrei vedere piangere. Gli amici, gli amori i miei pensieri, sacralità alle quali m'inchino.
Oggi ho capito di non avere nulla al di fuori di ciò che mi è entrato dentro.
Non ce la faccio a piangere. Non posso rimanere qua dentro ne uscire.
Non mi riesce di dimenticare come si nuota per lasciarmi annegare.

4 commenti:

Antursa ha detto...

E allora, se non ti riesce di dimenticare, nuota più forte che puoi. Vai al largo della tua esistenza e cerca di fare ordine. O meglio ancora di attraversare il disordine. Di domarlo. Di stancarti e di affondare in un'apnea rigenerativa.
Io faccio il tifo per te.

emiz ha detto...

ti ringrazio di cuore per il tifo. Certo, basta che non mi scadi nell'ultrà becero...sai di questi tempi...scherzo, che il buonumore ce l'ho di serie.
across the caos
ciao emiliano

emiz ha detto...

aggiungo
23 lettere e due spazi.
certo scrivere "attraversare il disordine" non è complesso.
ma abbiamo idea di come si faccia?
o d quanto bruci il sale sullo stomaco aperto al cielo?
vabè
baci a tutti

Antursa ha detto...

23 lettere e due spazi. ma anche un verbo un articolo e un sostantivo, 3 cose in tutto. forse non abbiamo idea di come si faccia, ma lo facciamo già.
ti abbraccio.