giovedì 15 novembre 2007

La foca dubbiosa


L’altra sera uscendo dal pub di Bergen, stordito dall’alcool e dalla musica, mi diressi verso un angolo appartato per fare pipì. Non che ce ne fosse bisogno di nascondersi visto che qui in Norvegia non si esce per strada, e lo credo bene, i gradi sotto lo zero sono sufficienti a tenerti a casa o nei locali. Mentre mi liberavo dai liquidi in eccesso mi voltai tremante e felice verso il fondo dello stretto vicolo eletto a latrina. Quello che vidi mi spaventò non poco: una foca mi guardava con aria dubbiosa. Non sapendo bene del carattere di questi curiosi animali corsi via senza pensarci e mi rintanai di nuovo nel pub. Archiviai la cosa come folkloristica. La musica era finita, la gente defluiva ordinata e barcollante verso l’uscita. Rimasi ancora a bere e a guardare un gruppo di ragazzi mentre giocavano a freccette.
Verso mezzanotte eravamo rimasti veramente in pochi e mentre cercavo di convincermi che fosse giunta l’ora di andare a letto suonarono le campanelle attaccate alla porta d’entrata. Con mio enorme stupore, lenta ma sicura, entrò la foca che avevo visto poche ore prima. Mi lanciò un occhiata interrogativa poi si diresse verso il bancone. Nessuno disse niente, ognuno continuò a badare ai fatti propri, solo io ero attaccato alla sedia come se avessi visto un fantasma. Nell’aria si era diffuso un forte odore di pesce e salsedine. Le tavole di legno scuro scricchiolavano sotto il peso dell animale che si accomodò a modo suo su di uno sgabello. Emise una serie di versi indecifrabili. Il barista tornò dopo un minuto, gli porse cortese una pinta di birra con un bel po’ di cannucce nel bicchiere e tornò a spazzare la sala. Prima di bere si voltò ancora verso di me, di nuovo quell’aria perplessa. Fece un verso in mia direzione sollevando le cannucce col muso. Io, rigido come il ghiaccio, risposi al brindisi con un timido “Det er sent! Jeg må gå...” e poi di corsa al barista, come a voler confermare “Kan vi få regningen?”. L’uomo sorridendo sornione si avvicinò “førti euro, takk”. Mi affrettai a prendere i soldi.
Appena l’uomo tornò con il resto resistetti all’istinto di precipitarmi alla porta. Con malcelato tremore mi sollevai sulle gambe ripetendomi “sono ubriaco, sono ubriaco”, arrivai all’uscita e voltandomi verso la sala biascicai un “God kveld…”.
“God Kveld!” risposero.

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