giovedì 29 novembre 2007

Buona la prima


Con la Muskia stavamo pensando seriamente di mettere su un corto come si deve. Che tanto, a vedere quello che altri presentano ci sentiamo in grado di farlo. Dall primo briefing abbiamo all’unanimità deciso di abbandonare i precedenti percorsi. Lo pseudo noir franco-russo. I tempi immobili e le frasi sibilline che chiedono di essere più che partecipe alla proiezione, di esserlo al contesto dell’arte contemporanea, a quello storico-contemporaneo ma soprattutto a quello mentale dell autore di turno, che non si prodiga affatto in slanci umili e compassionevoli verso il volgo. No no. Prima di tutto si vuole definire a chi si vuole dire cosa. A loro? A tutti? A tutti tutti? Cioè quali sono i confini che volendo e non volendo delineeremo del nostro prodotto? Prima ancora di sapere di cosa parlo ora voglio sapere con chi ne voglio parlare. La mia personale opinione è che cercare di dilatare il più possibile la superficie visibile, senza per questo rinunciare alla complessità del discorso, sia la migliore radice da cui partire. Si traduce chiaramente in un assai maggior carico di lavoro mentale per gli autori che, se capaci, dovranno parlare in testa con mille voci differenti ed estranee, a quelle dar più retta per accontentarle. Piegarsi umilmente, tutto il possibile, che non è oltre il possibile ma li vicino.
Cosa accomuna la gente più distante che si possa immaginare. Cosa sta a loro comunemente a cuore? Facili, queste risposte sono facili. La natura, la carne, il tempo, la fine. Questa la mia chiave. La lente polarizzata che voglio fondere ai miei occhi. Perché è questo in fondo che ci sospinge e ci fa fare tutte le cose che si raccontano in giro o sui libri o nei nostri più intimi sogni. Una bella quadrilogia senza pretesa alcuna. Già sento le scintilline in testa. Il solletico alle viscere. La gustosa insofferenza, la fretta, che mi godo immobile, pensando. Mi piace l’approccio del mio corpo a certe cose. Lo vivo sempre come una garanzia, perché non succede spesso e mai con la stessa intensità.
Quattro storie, sedici minuti in tutto. Detto i limiti. Non abbiamo troppi bravi attori (3), non abbiamo impianti microfonici degni di nota e io pretendo di poter lavorare con piani larghissimi. Quindi muto. Anche perchè voglio sia internazionale. Parco lampade base, Con ampia possibilità di espansione però. Gruppo elettrogeno da circa 2kv su richiesta. Attori già disponibili (me compreso) 6. Comparse: i sei, di spalle e camuffati, più almeno altri 5. Ma già così il piano di lavorazione è assai complesso. Perchè non girano soldi..Altro limite, semplice cavalletto senza testata fluida. Perciò movimenti pochi e giustificati.

Primo raudo:

“ Il concetto di natura ha subito numerose evoluzioni, nella sua definizione, a seconda dei sistemi culturali e filosofici entro cui l'uomo ha definito, nel corso della storia, la sua esistenza e la sua relazione col mondo e col tempo.”

“L’espressione “ogni carne” si applica all’essere umano in quanto tale e quindi a tutta l’umanità. Il termine carne viene a comprendere in sé i caratteri, le manifestazioni, il modo d’essere e d’agire della creatura vivente. Il termine “carne” designa dunque l’essere umano, ma non in senso pieno, anzi, esprime piuttosto, dell’essere umano, l’infermità, la caducità, i limiti, in contrasto con gli attributi di Dio.”

“Newton credeva che il tempo fosse, analogamente allo spazio, un contenitore di eventi, Leibniz riteneva che esso, come lo spazio, fosse un apparato concettuale che descriveva le interrelazioni tra gli eventi stessi. John Ellis McTaggart credeva, dal canto suo, che il tempo e il cambiamento fossero semplici illusioni.”

“ Fui pervaso fin nel più profondo del cuore dal sentimento dell'impermanenza di tutte le cose che mi era stato trasmesso da mia madre. La vita umana era effimera come i petali avvizziti, spazzati via dal vento. La nozione buddhista dell'impermanenza (mujo) faceva parte del mio essere più intimo. Niente nell'universo intero può resistere al tempo. Tutto ne viene travolto, tutto è condannato a scomparire o a mutare. Anche lo spirito, come la materia, è chiamato a trasformarsi, senza mai poter raggiungere la permanenza. Per questo l'uomo è costretto ad avanzare in solitudine, senza alcun appoggio stabile. Come è detto nello Shodoka, neppure la morte , che lascia ciascuno solo nella sua bara, è definitiva. Soltanto l'impermanenza è reale”

BUUUM!

martedì 27 novembre 2007

CONTRO


Mi hanno richiamato indietro in questo triste e malsano paese dal mondo autistico nel quale mi aggiravo. Occorreva, senza riserve, la mia competenza in materia di oscenità umane e tragedie immateriali. Ho così intavolato una costruttiva discussione virtuale con una realtà per me allo stesso tempo nota ed ignota. La teoria dell’ iper-cubo è assolutamente applicabile alla realtà di tutti i giorni. E’ la prima cosa che salta all occhio del nostro paese. Non sapete dell’ iper-cubo? Tant’è che pensate lo stia inventando di sana pianta? Errore. E’ solo la vostra ignoranza impaurita che si difende con presunzione. Una ricetta comune. Il piatto nazionale. Se fossi negro sarei bruciato. Se fossi frocio sarei impalato. Se fossi comunista sarei fucilato. Ma anche da fascista verrei impallinato. Uno come me se fosse contrario sarebbe piegato e infine spezzato. Se io fossi allora sarei. Ma, miei cari interlocutori, che millantate fieri le vostre origini, che scrutate con sospetto le zone di luce della vostra anima, vi deludo. Io non sono, quindi, non c’è gioco al quale si possa partecipare insieme. La storia non insegna nulla se non è discussa. E con voi non parlo perché ora leggo cose che non pensavo avrei potuto. E mentre brucia la carta leggo meglio. Erano racconti di tempi passati. Era l’uomo nero che se non stavi attento ti portava via con se. Era zitti e mosca. Sbandierare di adolescenti circolarmente ignavi. Erano ormoni tradotti. Era identificazione in mancanza d’altro. Ma è ancora, e questo mi dispiace. Ritrovarmi solo a non giocare più. Muto fra cori da stadio. Indifferente a menzogne comuni e palliativi romani. Allora, allegramente scoglionato dagli eventi avversi e certo che mancava alla lista di volgarità pubbliche la mia, mostro il culo allargando le natiche senza veli né abbronzatura. Gioco a modo mio, autistico. E poi vi chiedo sorridente chi è il più serio fra noi. E di nuovo salto fuori dal cerchio e, come si diceva una volta, quando ci si divertiva davvero, “a monte! A monte!”. E ora non sapete più neanche quando si dice a monte scommetto. Certo non si diceva a caso. Se avessi abbastanza voce lo direi ancora oggi, generalizzandolo alle sveglie, ai discorsi coerenti, alle confidenze oniriche, alla ottusa consapevolezza dell’uomo moderno, alle serenate suonate da altri, al bello e al non bello, alle cose dette e ridette, trite e ritrite, alla totale dimenticanza che ce le fa ascoltare ogni volta come nuove, alle traduzioni poco fedeli e ai loro fedelissimi. Lo direi alla mia faccia di culo gassoso, insulsa, eppure perennemente appiccicata davanti a coprirmi. A monte tutto.



sabato 24 novembre 2007

that's groove man!


Sharon Jones & The Dap-Kings
"100 Days, 100 Nights"
daptone records

Dopo la foca il dubbio


Ci sono delle voci che disturbano. Insistenti ed inesistenti contro le quali tapparsi le orecchie non serve a molto. Già di per se una voce è un suono difficilmente contenibile. Le altre poi sono intollerabili.
Arrivare qui è solo un inizio. Mi rendo conto la parte difficile deve ancora venire. L’episodio di ieri sera con la foca è stato inquietante e oggi non è andata meglio. Non ho forza per approfondire anche perché sono certo che non lo dovrei fare in loco ma, come al solito, nel mio cervelletto dispettoso, o difettoso come mi ha blandamente comunicato uno degli ultimi medici interrogati: “Lei è come un tipico orologio meccanico, l’ora è quella giusta ma col tempo tende a perdere i secondi, poi i minuti, le ore.” Potei solo sgranare gli occhi incredulo “Non si preoccupi perchè quello dell’orologio, seppur finemente lavorato, è un meccanismo imperfetto in sé. È la fisica che detta le regole. Lei non è rotto è soltanto difettoso. Il nostro scopo è imparare a convivere con gli ingranaggi della nostra mente.” Lascio immaginare l’importante lezione di vita che ne trassi. Decisi infatti di lasciar perdere questi pragmatismi e dopo aver disdetto tutti i pochi appuntamenti del mese andai a casa. Attaccato un planisfero sul muro della stanza più grande, mi voltai e feci nove passi indietro. Relegando tutta la mia vita sulla punta di una freccetta chiusi gli occhi, respirai profondamente e feci il biglietto. Sono certo che la descrizione di quell attimo non sia possibile in base alle leggi della fisica classica e della fisica relativistica. Avrei voluto dire al dottore che "L’umana Inerzia m'ha condotto ed affidato ai Quanti. Loro hanno raccolto ed accolto la mia preghiera nell arco casuale di una freccia" e farmi ricoverare.
Invece eccomi qui, fa freddo e capisco poco o niente di quello che mi viene detto. Studio di sera a casa e di giorno lavoro facendo pratica. Tra le prime parole assimilate stabilmente ci sono laks, torks, haval, kreft. Lavoro al Fiske Torget sul porto, salmone, merluzzo, balena, granchio. Ma è una lotta impari. L’unico vantaggio che ho sulla lingua è il difetto che mi fa pian piano perdere il segno e ricominciare come nuovo. La penuria di risorse mi spinge a valorizzare il punto debole. Perseverando nell imperfezione riesco a non pensare al limite strutturale.
Bergen è una città della Norvegia nella contea di Hordaland. Con neanche trecentomila abitanti, è il secondo centro del paese dopo Oslo. Si dice che sia la porta dei fiordi. Io sono ancora sull uscio, in una piccola stanza vicino a Bryggen, un quartiere che è stato classificato Patrimonio dell'Umanità. Tante caratteristiche casette di legno sulla baia di Vågen ma ancor di più negozi, ristoranti, agenzie e turisti fotografici. Secondo me le uniche vere attrattive della zona sono il museo anseatico e quello di Bryggen, ma probabilmente sono io ad essere noioso, anzi annoiato.
Quando posso passeggio per la città e la cosa che più mi ha colpito è la quantità di università che ci sono, sarà per questo che vedo così tanti giovani. Ma non sono uno di loro. Io sono fra i tanti provenienti da varie parti d'Europa per lavorare d’estate. La maggior parte di noi è qui al mercato, che non è particolarmente grande, almeno per i nostri canoni. In compenso è assai vivace e ho già scoperto molte cose. Non sapevo ci fossero così tanti tipi di Salmone, affumicato, cotto al vapore, alla Bergen. E certo non avevo mai assaggiato prima la Balena affumicata.
Purtroppo però mi hanno fatto capire che lavorare stabilmente qui è difficile, bisogna parlare un buon inglese e molto spesso è richiesto di parlare il norvegese. L’estate finirà purtroppo e con lei la fiorente babilonia ittica. Sono a cavallo, al galoppo verso il ciglio di un fiordo. Bene, in un modo o nell altro sarò oltre l’uscio di Bergen.

giovedì 22 novembre 2007

domenica 18 novembre 2007

PERSPECTIVA

Voy a una tierra pobre.
Voy lejos de aquí.
Profundamente a me.

Todo alrededor
arena y rocas.
Delante de mí
trayectorias hacia las montañas.

No prometo nada.
No deseo nada.
Voy solamente.

Espero para decir como me llamo.
Porqué todavía
no he entendido como hacerlo.
Imagino un nombre.

Más allá de esos montajes
cielo azul y tierra ordenada
vientos perennes y reservados.

Voy a una tierra que ame ya.
Donde estaré capaz de recordar
lo que me he olvidado

giovedì 15 novembre 2007

La foca dubbiosa


L’altra sera uscendo dal pub di Bergen, stordito dall’alcool e dalla musica, mi diressi verso un angolo appartato per fare pipì. Non che ce ne fosse bisogno di nascondersi visto che qui in Norvegia non si esce per strada, e lo credo bene, i gradi sotto lo zero sono sufficienti a tenerti a casa o nei locali. Mentre mi liberavo dai liquidi in eccesso mi voltai tremante e felice verso il fondo dello stretto vicolo eletto a latrina. Quello che vidi mi spaventò non poco: una foca mi guardava con aria dubbiosa. Non sapendo bene del carattere di questi curiosi animali corsi via senza pensarci e mi rintanai di nuovo nel pub. Archiviai la cosa come folkloristica. La musica era finita, la gente defluiva ordinata e barcollante verso l’uscita. Rimasi ancora a bere e a guardare un gruppo di ragazzi mentre giocavano a freccette.
Verso mezzanotte eravamo rimasti veramente in pochi e mentre cercavo di convincermi che fosse giunta l’ora di andare a letto suonarono le campanelle attaccate alla porta d’entrata. Con mio enorme stupore, lenta ma sicura, entrò la foca che avevo visto poche ore prima. Mi lanciò un occhiata interrogativa poi si diresse verso il bancone. Nessuno disse niente, ognuno continuò a badare ai fatti propri, solo io ero attaccato alla sedia come se avessi visto un fantasma. Nell’aria si era diffuso un forte odore di pesce e salsedine. Le tavole di legno scuro scricchiolavano sotto il peso dell animale che si accomodò a modo suo su di uno sgabello. Emise una serie di versi indecifrabili. Il barista tornò dopo un minuto, gli porse cortese una pinta di birra con un bel po’ di cannucce nel bicchiere e tornò a spazzare la sala. Prima di bere si voltò ancora verso di me, di nuovo quell’aria perplessa. Fece un verso in mia direzione sollevando le cannucce col muso. Io, rigido come il ghiaccio, risposi al brindisi con un timido “Det er sent! Jeg må gå...” e poi di corsa al barista, come a voler confermare “Kan vi få regningen?”. L’uomo sorridendo sornione si avvicinò “førti euro, takk”. Mi affrettai a prendere i soldi.
Appena l’uomo tornò con il resto resistetti all’istinto di precipitarmi alla porta. Con malcelato tremore mi sollevai sulle gambe ripetendomi “sono ubriaco, sono ubriaco”, arrivai all’uscita e voltandomi verso la sala biascicai un “God kveld…”.
“God Kveld!” risposero.

domenica 11 novembre 2007

Risposta al neorealismo


Fuoco su frammenti di muro e piante
rampicanti del cuore
Un gatto si aggira ancora magro tra il reticolato della mente.
Cerca cibo, ma io non ne ho più…
non ho nulla da dare a quella bocca affamata…
nulla che non mi faccia digrignare i denti
Porte spaccate/mani rotte/sangue/ io che inseguo i miei sogni/primo disegno verde sul muro
Incubi si susseguono frenetici nella mia mente,
tutto ciò di splendente è deformato,
tutto ciò di decadente è vivido e lontano.
Chiudono i ponti davanti a me
I rubinetti finiscono di gocciolare, lo specchio riserva ancora i miei trucchi davanti a mille e più occhi
Esco dalla doccia vestita invernale
l’asciugamano ancora intorno al corpo
Quello che era da serbare è qui
dentro me
Ma qualcosa sputa fuori
Qualcosa che non smetterò mai di vomitare
Risale dalle viscere
Esce da tutti i pori
Si trasforma in bava/lacrime/dolore/aria soppressa/smorfia sul viso/mocciolo liquido/occhi gonfi/ labbra serrate
Si trasforma in sorriso che esplode
In fusa nelle mie orecchie
Scroscia l’acqua sul mio corpo livido per il troppo tempo abbandonato
Ma siamo qui
vivi
Calpestati da tutte le avventure
Con calli tendenti a circondare vene sottili
Ancora qui
Con il sorriso del disprezzo
Il riso che si trasforma in ghigno capace di deglutire
Io conosco quel sorriso
Come una mela acerba che si apre al sole
Ricordi sfrattati
Chiusi in una valigia fatta esplodere da criminali di quartiere
colpe da non far risalire
vittime e carnefici sono solo fogli trasparenti dai risvolti appannati
gocciolo veleno dai capelli strappati
il liquido amniotico mi ricorda che esisto
io
e anche tu
ragazzo dalle mille canzoni
lasciato in una macchina per troppo tempo
inghiottito da meccanismi di cera
il mio sorriso come mela acerba va a noi
piccoli asteroidi impazziti in un Roma di diapositive e polaroid
motorini, incendi, macchine da presa, gente del manicomio, baci e schiaffi che paralizzano il tempo
ma ancora ricordo il muretto nella strada del vecchio mercato
la mano nel buio
e un amico che urla in preda a distorsioni immaginarie
nulla è perso ora che so che ancora siamo
non più
non solo
ciò che la fragilità nella foto di me a trigoria con il vento nei capelli e gli occhi nel passato/presente guardava persa
ora,
indosso ancora quel profumo inebriante di mela


Pamela

sabato 10 novembre 2007

(RI)EDIZIONE STRAORDINARIA

Per chi si fosse collegato solo ora, la situazione che abbiamo davanti ricorda, per chi li avesse visti, i buoni vecchi film di una volta.
Incredibilmente, come non succedeva da anni, è cominciato a cadere del soffice nevischio sulle nostre teste frementi. La folla s’accalca dinanzi lo scoop che IO ho scovato fra mille bufale e inutilità.
L’ufficio stampa ci ha ora comunicato che i tre ambasciatori esteri, incuranti dello sciopero mondiale dei trasporti, si sono avventurati con mezzi di fortuna attraverso le terre dimenticate per assistere personalmente all’evento e, secondo voci non confermate ufficialmente, per essere ricordati negli annali come i primi ad aver reso gli onori all’importante ospite che tutti attendevamo.
Intanto però ci è stata interdetta l’area dell’evento, tutte le autorità si sono riunite in un consiglio speciale per deliberare sulla reale necessità di cotanta risonanza mediatica. Poi, infastiditi, hanno dato istruzioni ai propri sottoposti -che ricordiamo non essere altro che pastori e contadini- di tenerci lontani dal fulcro della storia.
Ma noi non ci arrendiamo e stiamo lavorando affinchè ci sia fornito un regolare “press pass” per aggiornarvi minuziosamente sull evento, secondo i diritti che la democrazia ci ha concesso.
-PUBBLICITA’-

“Ti senti solo? Non vedi luce? Arranchi fra quattro mura? Magari se provi ad uscire ogni tanto…-
PORTASPASSO srl- Accompagni professionali per tutte le occasioni!”

-FINE PUBBLICITA’-
Eccoci di nuovo con voi per importanti aggiornamenti: ignoti hanno lanciato in nostra direzione, dal vicino comune al di la dei monti, un immenso razzo luminoso, di certa provenienza illegale. La potenza illuminante dell oggetto è veramente incredibile, esso riesce ad illuminare quasi a giorno la lande sterili alle nostre spalle. Credo che una tale luce potrebbe essere vista a vari chilometri di distanza. Non capiamo il senso di tale gesto, ancor di più durante momenti tanto concitati. I soliti mitomani vandali e ignoranti che intendono lasciare la loro ignobile firma su questo importante giorno. Ma noi non demordiamo, faremo sì che queste ore restino impresse nell’immaginario collettivo per sempre.
E non potranno certo questi scarti d’uomini impedirci di dare la giusta chiave di lettura a voi che ci onorate con la vostra semi-vigile attenzione.
-PUBBLICITA’-

“la notte non dormi?il giorno non sei vigile?la vita ti sfugge di ora in ora?
CANNADELGAS ong- contatta i nostri volontari e affidati a loro per un silente trapasso!”

-FINE PUBLICITA’-
bentrovati a newstory24, come potete bene immaginare l’atmosfera si fa di minuto in minuto più elettrica. Siamo riusciti a guadagnare di nuovo il bordo dello stage e non saremo disposti a mollarlo di nuovo. Siamo qui per voi e questo ci da la forza di continuare!
Mancano pochi minuti, mi dicono, e finalmente vedrà la luce. Anticipatamente ringrazio tutti i tecnici e gli autori che tra mille difficoltà si sono prodigati affinchè questo grande e difficile evento potesse raggiungervi…
Ma ecco! Ecco!
Mi fanno segno di avvicinarmi!
L’ora è giunta e fra sbuffi caldi d’animali, fieno e polvere raggiungo i nostri eroi…
Le parole non servono, miei fedeli accoliti, a descrivere quello che tutti noi possiamo ora finalmente vedere con i nostri occhi colmi di lacrime. I vagiti riempiono queste povere mura che ora sembrano laminate d’oro.
Vedo in lontananza la delegazione degli ambasciatori avvicinarsi con i tanto attesi doni, fra le grida di villici estasiati tutto attorno. Anche l’immenso razzo luminoso ci ha quasi raggiunto e per fortuna va perdendo potenza scongiurando così definitivamente la possibilità di un tragico epilogo a questa magica notte.
Se ci saranno ulteriori sviluppi sul caso della famiglia di Nazareth mi prenderò la libertà di chiedere la linea in diretta.
Da Betlemme per ora è tutto, un cordiale buonanotte e…
A voi la linea.
[15] Giovanni gli rende testimonianza
e grida: "Ecco l'uomo di cui io dissi:
Colui che viene dopo di me
mi è passato avanti,
perché era prima di me".

mercoledì 7 novembre 2007

martedì 6 novembre 2007

DEDICATO A PIER PAOLO PASOLINI

Non ce la faccio ad accendere il televisore. Non riesco a farmi una canna. Non riesco a respirare profondamente.
Un decennale cerchio di silenzio, violenza e sofferenza s’è chiuso e il freddo si insinua molto facilmente sotto le difese.
Odiavo la casa dove cercavo di non abitare. Simbolo di negazioni familiari, anni bui in cui mi sono quasi soffocato, persone e cose mutate, incubi indimenticabili.
Ignoti ne hanno fatto propria magione. Divenuti poi noti, purtroppo, fin troppo noti. Criminali rapinatori crackomani, violenti e fisicamente prestanti. Folli con i quali sono cresciuto. E’ strano verificare come i ricordi mutino e maturino nella testa, erano la mia gente, quelli delle case.
Giorni fa i miei genitori mi chiamarono, a loro volta avvertiti da quelle anonime voci che sempre hanno albergato nei degradati angoli delle case popolari. Mi venne a prendere mio padre. Diretti verso quella che fu la nostra casa, ora occupata. Avrei solo voluto sparire, annichilirmi nel sedile dell’auto e lasciare a chi davvero ne avesse voglia il freddo e lo scotto d’esistere.
Poteva essere un film ma eravamo noi con i carabinieri, dall’altra parte della strada a osservare una luce accesa che non era mia. Eppure in quel caos lassù c’era tutto ciò che sono stato, le mie cose. Le cose. Cos’ho io davvero? Guardando quei palazzacci una volta simil-bianchi ora vecchi e decadenti, fra le fantasie d’architettura popolare privata, ognuno ad estetizzare il proprio territorio secondo necessità, perso fra le parabole fuori dai balconi, panni stesi, finestre socchiuse piene d’occhi curiosi ma assuefatti al grigiume. Compresi che io volevo solo andare via e non chiedermi più se prima d’oggi ero stato qualcosa da qualche parte. Dimenticare una volta e per sempre del fuoco che marchia i maiali.
Se uno si abitua a vivere in certi posti acquisisce altre capacità sensoriali, sò capire senza comprendere come, se qualcuno sta facendo qualche impiccio, se fa il palo o semplicemente se è un criminale o un pollo e tante altre cose particolari. Sono sguardi, movimenti impercettibili, parole sussurrate, è quel grigio che ha invaso pure me. Sospetti ne avevo, certo, ma è bastato un movimento di persone fuori, allo scoperto, quelle posture, la tracotanza di chi non teme, anche a cento metri capii, la casa era persa anche se riconquistata, per sempre. Perché se uno vuole vivere sott’acqua ha da accettare di respirare col culo, oppure fuori. Lo stato di diritto fa un ipocrita passetto indietro quando c’è chi davvero se ne fotte di questa sovrastruttura poco animale.
Il paradosso è il senso di liberazione che mi pervase, sarebbe stato totale se non fosse stato ostacolato involontariamente dalla restante parte della famiglia. E’ che purtroppo li si sono venuti a stringersi nodi che ognuno, negli anni, ha diversamente affrontato. Io sono lentamente morto, giorno dopo giorno sono scivolato nell’ ultranero degli avvenimenti che nel loro susseguirsi isterico m’hanno spento. Un morto silente. Ma il sistema era cristallizzato. Tutto quello era necessario se non indispensabile. Io quel giorno li non c’ero, e non ho mai provato un senso di assenza così grande, contrastato solo per il fatto di non essere solo e di non essere stato capace d' egoismo fino in fondo.
Nel frattempo, nei giorni, ci sono state denunce alle autorità competenti, minacce criminali formali, violenza privata, assenza, questura, lo sgombero, ennesime nette minacce di vita e la scoperta che probabilmente io non avevo più un passato. Cosa racconterò ai miei figli se mai il mio sperma ritroverà la sana forza di fare breccia in corpi altrui?
Persi tutto durante un bombardamento di una guerra di cui nessuno ha mai parlato se non per sentito dire. Gli spiegherò che le foto se sono vere foto lasciano impresse le immagini primarie sul cuore. Gli dirò che erano belle foto, gliele racconterò. E gli spiegherò della violenza delle guerre che tutti i giorni si consumano su questa martoriata terra, che non hanno occhi per distinguere, ne orecchie per ascoltare, tantomeno cuori con cui provare a capire. Esse hanno il solo scopo di ottenere. Gli confiderò che le lacrime arrivarono fino agli occhi e che avrei anche voluto essere li per lasciare che facessero del mio volto ciò che preferivano.
Ma non c’ero quel giorno, dov’ero io purtroppo era altrove. Nella paura di perdere le uniche piccole cose care che m’ appartengono. Le persone vive che m’hanno generato, che non vorrei vedere piangere. Gli amici, gli amori i miei pensieri, sacralità alle quali m'inchino.
Oggi ho capito di non avere nulla al di fuori di ciò che mi è entrato dentro.
Non ce la faccio a piangere. Non posso rimanere qua dentro ne uscire.
Non mi riesce di dimenticare come si nuota per lasciarmi annegare.

domenica 4 novembre 2007

donn/RACK

Che buon sapore hai
Riesco a sentirlo per un istante
La tua pelle liscia è invisibile
Si scioglie nel fuoco del mio amore
Poi veloce t'allontani
Rimango solo
Io e il desiderio di te
Costante mi consuma
Ti ho odiata
Crudele e conscia del tuo potere
Ma sbagliavo e solo ora capisco
Nel tuo fare non fingi nè pretendi
La tua sincerità è disarmante
L'errore è solo in me
Incapace di accontentarmi
Bramoso degli istanti chiusi nel tuo cuore
Sbaglio perchè so quanto è piccolo l'uomo
Nel cercare d'abbracciare il cielo
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