venerdì 14 novembre 2008

Immondia

Un sacco di rifiuti da troppo tempo ad attendermi qui all ingresso. Lo guardo, è chiuso stretto e puzza. Mi avvicino e noto inquietanti ombre all' interno. Lentamente provo ad aprire il nodo che lo tiene chiuso. Infilo la mano dentro ad occhi chiusi rovistando fra umido e viscido. Annuso le dita e l'odore è acre, di morte e dimenticanza. Verità scomoda. Voglio capire meglio così comincio ad estrarne il contenuto. Carte di appunti inutili macchiate d'olio e fondi di caffè, bottiglie accartocciate, fazzoletti e muco secco. Dispongo tutto in ordine e continuo. Vado più a fondo e tocco quello che era una mozzarella bianca e succosa, piena ora di piccolissimi vermi. Ne strappo un pezzo gocciolante di siero giallastro, lo assaggio. E' acida e sento distintamente in bocca l'agitarsi delle larve, ancora per poco, mastico velocemente e tutto si riduce ad un indistinta massa tossica. Ingoio. Il tappo di uno yogurt rimane attaccato alla manica della camicia, lecco quello che ne rimane, è acido. Filamenti fastidiosi fra i denti. La nausea mi attanaglia e lacrimano gli occhi. Non piango, lacrimo. Cicche di sigarette, cenere. Ne accendo una e aspiro quel che ne rimane, catrame disgustoso. Arrivo al filtro e spengo il tizzone sull umido della verdura marcia, poi assaggio anche quella, sa di muffa. Sembra non ci sia più nulla se non liquidi fermentati e ciocche di vecchi capelli sparse un po' ovunque.
Ora la busta è vuota e occorre sia di nuovo satura di ciò che dà angoscia e vergogna. Di quello che, sperando scompaia, chiudo stretto in sacchi di plastica e getto via. Ripenso al manuale di auto liberazione, forse ho capito.
Accatastato in un angolo lo schifo inutile infilo la testa nella busta e lego stretto. Sdraiandomi sorrido, sempre più addormentato e nervoso, sempre più simile al vero. Chiudo gli occhi, finalmente smetto di lacrimare e piango. Proprio oggi ho scoperto il nome di mia figlia, Odusia.

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