mercoledì 6 febbraio 2008

live shot

A causa del malore di un passegero alla fermata di flaminio, sto fermo da almeno 15 minuti alla stazione di porta furba quadraro. Almeno sto seduto. Osservo il treno a destra e a sinistra. E' uno di quelli nuovi, open space. Posso vedere fino in coda, driblando le persone in piedi che cominciano a muoversi nervosamente. Localizzazione. Secondo vagone, primo posto a destra rispetto al senso di marcia. Accanto ho un sedile vuoto, c'era una signora che si è stufata molto velocemente. Or'ora lo occupa un vecchino un pò sciancato. Oltre lui una ragazza bionda con un libro, riesco quasi a leggere l'autore, L. Di Pentina. Non vedo bene ma dal taglio dei paragrafi direi che è un saggio. Ancora più in là intravedo un jeans chiaro, una borsa blu sulle gambe e un piumino avana. L'attesa è acida. Davanti ci sono solo due posti, presieduti da due Bengalesi con relative buste blu d'ordinanza. Indossano finte nike con scritto alì. Mentre li sto scrivendo vengono raggiunti da due colleghi. Tutti insieme si alzano e se ne vanno. Il treno fischietta e si chiudono le porte. Il vecchietto accanto a me cambia posto e si mette davanti. Poveri Bengalesi, dopo mezz'ora ad aspettare decidono di andarsene e parte il treno. Non sò qual'è, ma credo che dovrei trarne una lezione. Già siamo ad arco di travertino, la frenata mi incolla alla parete. Il vecchio scende e, incredibile, entrano altri due Bengalesi, mi potrebbero sembrare tranquillamente gli stessi di prima se non fosse per le scarpe, ora finte puma, e per i bustoni, ora bianchi. Incosapevoli si siedono agli stessi posti dei connazionali più sfortunati. Questo mi conferma che c'è un senso per tutto e della ciclicità della vita. Colli albani, tre ragazzini ridono e sfilano, lei si siede a terra, che invidia. Popolazione assai eterogenea tutto intorno. Nel divisorio dei vagoni alla mia destra una darkettina tutta in nero, un pò anni ottanta, con cuffioni musicali e borsa viola acceso. Armeggia col cellulare e mi guarda con la coda dell'occchio. Vado oltre per non creare fraintendimenti ma purtroppo si insedia un muro umano che mi copre la visuale. Ricordo solo un ragazzzo in tuta da lavoro targata "galli pavimenti" che dorme tutto polveroso. Siamo di nuovo molto fermi. Minuti minuti minuti. Tutti molto silensiosi, tutti tranne i ragazzetti di prima che non vedo più ma sento chiaramente. PI PI PI PI PI! finalmente si richiudono le porte. E si va, ancora, sempre e comunque. Dal buio verso il buio immersi in una luce bianca e fastidiosa. Mancano un paio di fermate, una tizia mi guarda con insistenza, ho girato subito lo sguardo ma mi sento osservato, che palle. Per fortuna Piazza Vittorio è oltre la prossima frenata. Riemergere in superficie mi da sempre una bellissima sensazione.

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